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L’Istituto

L’Istituto

Cari coloni sperduti, lunga vita alle vostre messi. 

Vorrei fare come Tim Jamieson (ma voi questo cognome come lo pronunciate, alla frangesa?) e vagabondare un po’ qua e un po’ là per le lunghe strade americane, yar, accettare duemila dollari per scendere da un aereo quando di solito la gente paga per salirci, yar, e sentire qualcuno che dei politici dice che non comprendono la cultura più di quanto un asino capisca l’algebra, yar yar yar!

 Ma non sono in America ed oltre al fatto che ho paura dell’aereo qui a Gilead le stradine sono contorte e poco poco ghiaccia meglio lasciare la macchina e andare a piedi, ergo, restiamo a casa e parliamo delle nostre messi di oggi che comprendono L’istituto.

Una piccola intro su L’Istituto:

Punto primo, L’istituto non è un romanzo horror, saranno quindi contenti quelli che, cito a caso, sono tutto un “…uh  Dolores ma come fai a leggere King che scrive quelle cose spaventose…” che di solito sono osservazioni fatte da chi non ha mai letto nemmeno un romanzo del Re o che magari si è fermato a quell’unico romanzo letto e basta. Parlando di “cose spaventose” poi, è sufficiente scorrere le classifiche dei libri più venduti per inorridire di paura alla vista di certi titoli. Ma sto dimenticando il volto di mio padre divagando su altro, scusate. L’istituto non è un horror, dicevo, ma di generi ne racchiude diversi: avventura, azione, thriller, psicologico, fantasy,  spy story, mistery e aggiungete tutte le altre y che volete, tanto non sbagliate. Fin da subito si nota che il Re ha voglia di raccontare e sebbene all’inizio non so e non posso sapere dove andrà a parare, la cosa mi piace e lo lascio fare, non si è mica Re per caso. Sento all’istante che questo romanzo è uno di quelli dove di cose ne succedono molte. L’impressione iniziale è ben presto confermata infatti da un ritmo incalzante e sempre più frenetico. In alcuni punti si raggiunge un livello tale che è difficile star dietro a tutto, ma questo regala di fatto un grado di dedizione alla storia come pochi altri romanzi riescono a dare.

Tim, l’omino del muletto.

Dunque faccio conoscenza con Tim, il Jamieson di prima alla frangesa, poliziotto in congedo a quarantadue anni, che già nelle prime pagine racconta della sua sfortunata storia i cui ingredienti sono: tempismo sballato, sfiga colossale ed un bicchierino in più. Tim sappi che non sei il solo ad avere una storia sfortunata alle spalle, pensa a John Wick e al suo cagnolino per esempio, fattene una ragione, c’è chi sta messo peggio di te. Arrivano presto anche gli altri personaggi della prima parte, che sul finale del libro si mostreranno preziosi, e con loro entro nella piccola cittadina di DuPray scrittotuttoattaccato. Qui T. trova lavoro sia come guardia notturna sia come addetto allo scarico/carico merce, l’omino col muletto insomma. Questo lavoro di carico/scarico, insieme all’altro di guardia notturna, gli permette di conoscere la vera gente interessante di DuPray scrittotuttoattaccato. A me invece, mentre sono di ronda con lui, permette di affezionarmi a queste anime un po’ perse. Un po’ perse proprio come siamo noi, cari coloni sperduti.

Nel cuore del romanzo: Luke ed i suoi poteri ESP.

Dopo Tim ecco che arriva Luke e con lui inizia la seconda parte del libro. Da questo punto in poi, come se mi fossi seduta su un razzo telecomandato, vengo letteralmente catapultata in un altro scenario, sembra quasi in un’altra storia. Aye. Non che Luke non mi piaccia, mi piace molto perché è un tipo a dir poco interessante, dodici anni e mente tanto geniale che è capace di farsi prendere in due college contemporaneamente, mentre io già solo con i contatti Whatsapp mi intreccio paurosamente e mi ritrovo a scrivere a chi non dovrei. Il punto è un altro: mi chiedo, cosa hanno a che spartire questi due? Perché le storie sembrano scollegate? Ma ho fede che Stephen King sappia cosa stia scrivendo e così vado avanti. Con l’ingresso in scena di Luke parte l’intreccio vero e proprio de L’istituto, tanto che i capitoli sull’ex agente, ora omino col muletto, mi sembrano quasi un ricordo lontano, ovattato, sicuro e confortevole. Le cose sicure e confortevoli Luke invece se le lascia suo malgrado tutte alle spalle: casa, college, amici ed amore dei genitori. Tutto il suo mondo di ragazzino insomma. Apre gli occhi una mattina e si risveglia in una replica della sua cameretta piazzata dentro una sorta di complesso in cemento armato nel bel mezzo del nulla. Con tante altre camerette replicanti per altrettanti “ospiti” come lui che, in realtà, sono stati rapiti come lui. Altro che ospiti. Da quella mattina la vita di Luke cambia per sempre. Ed ecco che fanno capolino mille domande: perché? Perché rapire dei bambini? Chi sono queste persone? Governo? Extra governo? Extra terrestri? Cosa vogliono? Come fanno ad avere tanto potere e risorse praticamente illimitate a disposizione per fare dei test sugli esseri umani che somigliano più che altro a delle torture e poi poter insabbiare tutto? Una sola risposta è pressoché certa: gli “ospiti” de L’istituto sono stati scelti per le loro facoltà al di sopra e al di fuori della norma. Questa cosa, che sulle prime potrebbe suonare come pazzesca, roba da super eroi, per i poveri bambini invece non è più un punto a favore, anzi, si rivela essere proprio il contrario, yar.

E tu, di che tipo sei?

Nel compound si “trattano” due materie molto particolari: telecinesi e lettura del pensiero, TK e TP, come vengono categorizzate. Le doti speciali di cui i ragazzi sono portatori sani vengono giornalmente testate con la promessa, alla quale nessuno crede, che una volta passato un secondo step in un’altra struttura, potranno tornare a casa. Per inciso, da questo secondo casermone non è tornato indietro mai nessun ragazzo. L’avevate già intuito, vero? Yar. La vera speranza dei gestori della struttura ovviamente è una ed una sola: quella che prima o poi, a furia di sperimentare a destra e a manca, rendendo i bambini oggettucoli da spremere fin quando non sono più utilizzabili, uno di loro possa in qualche modo diventare un TK e un TP assieme. A trazione integrale insomma. Un vero e proprio SUV extrasensoriale.

Amarcord extrasensoriale.

A questo punto cari colonini miei, devo per forza fermarmi un secondo per ricordare con amore, devozione e malinconia, titoli diventati vere pietre miliari non solo della produzione di King ma della letteratura horror moderna in generale. I romanzi che vado a citare, e che hanno già trattato temi come fenomeni paranormali, lettura del pensiero, precognizione, doti ESP e via dicendo, hanno aperto la strada alla narrativa di genere e sono: Carrie, L’incendiaria e La zona morta. Beh cari coloni sperduti, ho appena calato un tris d’assi. Dopo questo tris chiudo e vinco la partita.

Fuga per la vittoria.

Andando avanti a leggere le parti successive del romanzo attuale invece, non si può non provare vero affetto per il gruppo di bambini descritti in queste pagine (come accade con quelli di IT, di The Body o de La bambina che amava Tom Gordon d’altra parte). Non si può non sviluppare una profonda empatia con tutti loro e se non vi affezionate anche voi come mi sono affezionata io allora avete la parentela condivisa con l’uomo in nero!. Che siano grandi, piccoli, magri, grassottelli, maschi o femmine, questi piccoletti strappati alle loro case e portati in questa sorta di inferno me li porterei tutti via pur di non far passare loro un secondo in più tra quelle mura. Grazie al cielo Luke oltre ad avere una mente molto sviluppata ha anche un cuore forte ed un animo saldo e le tre cose assieme gli danno la possibilità di darsi davvero da fare e di mettere in atto un piano coi fiocchi. Anche Luke cala il suo tris d’assi. Ecco, è appena partita un òla per Luke, che non sarà Skywalker ma è un piccolo eroe lo stesso. Con l’aiuto dell’amico Avester detto Avery, di agganci dall’interno, ma soprattutto grazie all’eccessiva arroganza dei responsabili del casermone delle torture che li porta ad essere negligenti e poco affidabili in termini di sicurezza e controllo, il geniale Skywalker riesce a farsi valere alla grande.

DuPray finisce il puzzle.

Tra un evento e l’altro, un dramma e l’altro ed un assassinio e l’altro, Luke con le sue gesta si palesa in una piccola cittadina del Sud che mi sembra di aver già sentito, DuPray scrittotuttoattaccato!!! Qui serve un balletto di vittoria sul posto. Io ho fatto anche un saltello sulla sedia sperando che la sedia avrebbe retto, poi ha retto, yar. Insomma cari coloni sperduti, King mi ha tenuta inchiodata per quasi trecento pagine senza farmi alzare lo sguardo dal libro, tanto che una volta mi sono dimenticata di mettere da mangiare a Cagliostro ed ancora è offeso della cosa. Il Re con L’istituto ha corteggiato la parte amarcord del mio spirito scrivendo di avventure di bambini, riportandomi ad altre storie lette, a film visti, che mi hanno fatto commuovere, impressionare, arrabbiare ed innamorare. Poi, da un certo punto in avanti, mi ha sorpresa con un cambio repentino facendo evolvere e mutare il romanzo in azione pura ed adrenalina a gogo. Senza darmi un attimo di sosta. Capita così  quando la storia ti prende nel profondo ti martella anche quando chiudi il libro per fare altro. Ti chiama, ti chiama, spingendoti a continuare a leggere e a riprendere il filo degli eventi. Ed io l’ho fatto e lo faccio, continuo a leggere fin quando tutti i pezzi disseminati da King, come nel suo stile, prendono un loro posto molto preciso per andare a formare il mosaico finale. O come direbbero i giovani protagonisti, tutti i pezzi costruiscono un telefono alto almeno cinque metri col quale si sentono e parlano tutte le lingue del mondo.

La magia del cuore collettivo.

È un piacere trovare una storia così interessante e coinvolgente, adrenalinica ed appassionante, ma anche commovente e toccante (si versano lacrime, credete a me, io ne ho versate soprattutto per Avery). Una storia per tanti aspetti tesa, nervosa, spietata. Ma soprattutto magica. Magica nel senso vero e proprio del riuscire a creare l’incanto che meraviglia il lettore e che tiene tutto assieme. Magica nel senso dell’essere capace di mettere nero su bianco sentimenti puri come quello dell’amicizia che forse una volta abbiamo provato nella nostra vita, sicuramente da giovani. Magica nel senso che è capace di fondere tanti stili diversi che iniziano a respirare come uno solo, ed è questa la firma unica ed inconfondibile del Re. Magica come quell’energia scatenata da molti cuori che battono all’unisono, assieme, unendosi in un unico battito, un cuore collettivo, diciamo così, e che sprigionano una potenza capace di dar forma all’incredibile. Anche se a volte di telepatia ce n’è già a sufficienza in un abbraccio, per citare il romanzo

In definitiva, qui giunti, vi consiglio di non perdere questo libro, sono sicuramente ore di lettura ben spese. Avester, piccolo eroe, il mio saluto va a te prima di tutti anche se mi hai fatto piangere tanto mannaggia a te. Nonostante la commozione spinta lunga vita alle tue messi e a voi, cari coloni sperduti, lunghi giorni e piacevoli notti. Ma piacevoli soprattutto dopo aver letto L’Istituto.

A presto, la vostra

Dolores Deschain

One thought on “L’Istituto

  1. Commento intrigante e coinvolgente, a questo punto non vedo l’ora di leggere il libro perché gli ingredienti ci sono tutti, anche e soprattutto il suggerimento di un degno finale… come piace a me

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