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L’arte di sopravvivere | Elevation | Unico indizio la luna piena.

L’arte di sopravvivere |  Elevation | Unico indizio la luna piena.

Cari coloni sperduti, lunghi giorni e piacevoli notti a voi tutti.

Siccome vi voglio tanto bene e sono conscia di aver appesantito spesso le vostre messi con lunghissime recensioni addirittura in più uscite, oggi facciamo il contrario, ne sforniamo tre veloci veloci, brevi brevi, in un’unica offerta convenienza… costi bassi e alta fedeltà! 

Così che possiate scegliere quella che vi piace di più e leggerla quando, come e se volete. Non credo esistano al mondo tre racconti più diversi tra loro di quelli che il Ka ha deciso di mettere insieme e che leggete qui nel titolo. Secondo me anche il nostro King si è dimenticato che dietro ciascuno di loro c’è sempre la sua mano, ma considerando il fatto che tra un’uscita e l’altra sono passati molti anni, anche decenni in verità, è normale che le tre narrazioni non abbiano nulla a che spartire l’una con l’altra. 

Tranne il nostro Re, appunto, quello se lo spartiscono. Dunque andiamo, aye!

Se non avete buttato il walkman della Prima Comunione datato Anni ’90, questo è il momento di rispolverarlo, cari coloni sperduti.
Se l’avete buttato non temete, con una ventina di euro ne trovate di decenti e potrete così attrezzarvi per ascoltare horror in stereofonia, più precisamente l’audiocassetta ormai quarantenne de L’arte di sopravvivere.

Il racconto che apre il terzetto è presente in forma cartacea nella mitica raccolta Scheletri che conta anche l’altrettanto conosciuto The Mist di cui ci occuperemo a breve. Ma torniamo al walkman. Dopo un primo momento di smarrimento passato a fissare l’oggetto vintage come me, con le cuffiette in una mano, la cassetta nell’altra e lo sguardo perplesso perché non ricordo neanche più qual è il verso giusto per infilarla nel walkman stesso, mi riprendo, pigio il grosso tasto del play e parte la magia.

Altro che modernissimi MP3, la cassetta mi catapulta indietro nel tempo ed è un viaggio bellissimo, credete a Dolores vostra. La voce che legge la storia, interpretandola magistralmente, mi proietta subito nell’atmosfera giusta, poi arrivano i rumori di sottofondo, la risacca del mare, i gabbiani, le musiche a sottolineare i momenti di tensione e il cambio dei blocchi narrativi… una meraviglia! Una vera forma di teletrasporto verso un altro mondo! Vale davvero la pena vivere questo momento amarcord!

Se fossimo ancora negli Anni Novanta la nostra edizione dello Sperling Walkbook (non è carinissimo anche il nome?) costerebbe 19.900 lire, libro più audiocassetta, e acclamerebbe Il Re del Brivido in Stereoterrore (dai coi giochi di parole andavano forte). La lettura del racconto è affidata alla voce più bella d’Italia, come è stato definito Fabrizio Casadio (che ci ha lasciati nel 2015), grandissimo speaker e doppiatore italiano, mica cotica. E si sente coloni miei. Una voce ed un’interpretazione pazzesca. Soprattutto nella parte finale del racconto, dove più che leggere semplicemente Casadio recita per davvero.

La trama della storia è molto semplice, ritrovo su un’isoletta sperduta tale chirurgo Richard Pine, dedito allo spaccio più che alle operazioni, salvatosi dal naufragio della sua nave proprio mentre andava ad occuparsi di uno dei suoi intrallazzi fuorilegge. Ti sta bene caro Riccardo, lasciatelo dire. Dall’affondamento RP che per poco non diventa RIP si salva, sì, ma il punto è che i giorni passano e lui non ha niente di niente da mangiare. Tranne un gabbiano, un pesce marcio, qualche alga e… se stesso. Eh già! Ma chi avrebbe mai pensato di scrivere un racconto su un tipo che si mangia da solo?

King. Giusto King e basta. Così, pezzetto dopo pezzetto Pine diventerà cannibale del proprio corpo ed ovviamente la cosa lo farà impazzire. Anche per il lettore sarà un’esperienza terrificante, per me lo è stata, credetemi, e il finale, che lascia aperte almeno un paio di interpretazioni, ha il pregio di salvarmi dal terrore puro che pian piano sale e prende davvero alla gola. Perché immaginare un uomo che si fa a fette è davvero sconvolgente. Miei adorati coloni, ascoltare il racconto vi regalerà un’ora di sgomento puro e quando arriverete a sentire la frase “se è vero che siamo quel che mangiamo io non sono cambiato poi di molto…” vi verrà voglia di spegnere il walkman e rimandarlo alla Prima Comunione.

Ma non spegnerete. Ascolterete tutto. Perché la perfezione delle parole che si incastrano in racconto in prima persona e che poi vengono lette, vi finiranno nel cervello e vi intrappoleranno lì dove avete iniziato ad ascoltare: su una sedia, su un divano, a letto… su un’isola deserta.

Se avete voglia di passare un pomeriggio con un libro di King iniziandolo e finendolo quel pomeriggio stesso, va beh, quella sera stessa dai, allora Elevation è il racconto che fa per voi. 

Un libretto che non è assolutamente un horror, cosa che mi ritrovo a ripetere spesso quando parlo del lavoro del Re. Ma appurato questo, Elevation è una piccola perla da porre accanto ai fratelloni ben più grandi e spaventosi e, per certi versi, almeno per il verso della bilancia e della perdita di peso, mi ricorda L’occhio del male del lontano 1984 che King scrisse come Bachman

È doveroso dire, senza la minima paura di dimenticare il volto di mio padre, che  Elevation è soprattutto la storia di un’amicizia. Un’amicizia che parte zoppicando ma che alla fine si rivelerà forte, salda e sincera. 

Come dovrebbero essere tutte le storie d’amicizia, no? Beh, la vita dimostra che non è proprio così per tutti mais bon, oublions… Elevation poi è una storia sul rispetto, una storia sui bigotti e su come si possa metterli a tacere, loro con tutto il razzismo (questo si che è un argomento horror) che si portano appresso. Aye! Il racconto mostra come, impegnandosi, si riesca a combattere l’ottusità della gente che pensa di vivere ancora nel Medioevo e di come, se non bastasse tutto quello appena detto, una persona qualunque, in questo caso Scott Carey, può vivere un’esperienza extra terrestre, ma non nel senso degli alieni e di UFO, extra terrestre proprio nel senso di un qualcosa che si stacca dal terreno, dal materiale, dalle cose di questa terra per, appunto, elevarsi

Una grande metafora tradotta a parole su come ci si possa liberare dai pregiudizi, dalle piccole o grandi cattiverie quotidiane, su come si possa trovare del buono perfino sulle vicine di casa che proprio non puoi sopportare. E in ultimo su come, sebbene la fine sia vicina, ci si possa preparare a riguardo perché magari non è proprio una fine fine fine, ma qualcosa di diverso. E così Scott accetta quello che gli capita senza dannarsi, senza dare di matto, senza urlare e senza rinchiudersi in un ospedale, anche perché, paradossalmente, da quando il suo rapporto con la gravità terrestre ha cominciato ad essere molto complicato, non si è mai sentito meglio in vita sua. Ma non è solo una sensazione positiva a livello corporeo, Scott si sente molto ben disposto anche a livello sociale, umano, spirituale ed impiegherà infatti tutta la sua forza e volontà per trovare delle amiche in persone che fino a poco tempo prima aveva profondamente detestato. Con l’aiuto del caro vecchio dottor Bob, del suo inseparabile gattone (la scena della separazione tra Scott e il suo fedele amico peloso vi farà piangere fazzoletti e fazzoletti di lacrime di tenerezza e commozione) e dei nuovi affetti, conquistati a suon di gare, manifesti e tanto sudore, Scott porterà avanti il suo ultimo viaggio con coraggio e compostezza

Ma poi, sarà davvero la fine? 

King mi lascia con questa domanda, con un ché di incompiuto, con lo sguardo rivolto al cielo come un Barone Rampante di calviniana memoria. E forse lo fa volutamente tanto che infatti rimango a chiedermi se mai potrà esserci un continuo di questa piccola storia che sembra quasi un esercizio di stile del Maestro, una pausa dai romanzi molto articolati e complessi, duri, a volte davvero impegnativi. Con Elevation King ha voluto trattare argomenti importanti e profondi, importanti e profondi per ciascuno di noi, utilizzando volutamente uno stile leggero, leggero come diventa di volta in volta Scott e più leggero diventa, più umano resta con la volontà, però, di staccarsi al tempo stesso dalle cose troppo terrene e di trovare un punto di vista più alto, vicino alle stelle. Ecco, cari coloni sperduti, mi pare che per tutto quanto detto si possa fare una pausa di un pomeriggio dallo stress di ogni giorno e dedicarsi a queste pagine così particolari (voglio dire, solo King può iniziare un libro parlando di una bilancia e rimanendo comunque attendibile). 

Predisponetevi ad accettare il fatto che se da una parte c’è la forza di gravità, una delle poche certezze al mondo, dall’altra questa forza si dissolve piano piano in un corpo da omone di un metro e novanta. Forse per tutto questo ci sarà un motivo, un motivo che si accetta e che stranamente non fa paura.

Per colpa di un wi-fi molto carente, qui a Gilead e Dintorni le notizie dall’Italia in particolare e dalla vostra Porta in generale, arrivano molto di rado, quindi non so cosa o chi spinga i produttori di film, i cineasti, gli scrittori, i traduttori, le case editrici e via dicendo a mettere mano ad un titolo originale di una pellicola o di un romanzo e, in fase di passaggio tra una lingua e  l’altra, decidere di sconvolgere totalmente il significato autentico dello stesso ma, mi pare, tra Silver Bullet e Unico indizio la luna piena ce ne passa, ajvoja se ce ne passa.

Ma io che ne so, in fondo? Io leggo e basta, anzi ebbbasta. Lasciamo da parte queste considerazioni dunque e veniamo a noi.

Ho incontrato la prima volta Unico indizio la luna piena  molto tempo fa (vi lasciamo qui il link del volume su Amazon per pura curiosità…) – troppo direi, così mi è venuto voglia di riprenderlo e di ricordare se, come e perché mi avesse fatto tanta paura. Il quando lo so ma non lo dico altrimenti vi mettete a fare i conti e visto che l’età non si chiede, rimanete pure nel dubbio…

Da Sinistra verso destra: Milano, Longanesi, 1986 | Milano, Club degli Editori, 1986 / successive ristampe: 1988, 1989 | Milano, Tea Due, 1989 | Firenze, Salani, 1991. Fonte: CacciatoreDiLibri.it

 

La mia edizione del libro è una di quelle illustrate a colori (la seconda – da sinistra). Le sue bellissime illustrazioni rendono l’atmosfera molto più oscura e minacciosa, cupa, di tragedia imminente, insomma fanno paura. Punto. Salta subito agli occhi lo spessore quasi insignificante del libretto, 139 pagine inclusa la Prefazione, quasi più lunga dello scritto stesso. Poche, pochissime paginette rispetto ai canoni ai quali Stephen King ci ha abituato nel corso degli anni, ma anche per questo c’è una ragione, yar se c’è: in primis quelle poche pagine bastano per fare il lavoro che devono fare, secondo poi il libro è breve perché, come spiega King stesso in un simpatico spaccato del suo lavoro, il micro volume è nato come un trafiletto al mese per i dodici mesi dell’anno, yar, in pratica poco c’è mancato che non ci ritrovassimo tutti a leggere un calendario! …non ridete screanzati, non siate scortesi col Re, ed ecco anche il perché delle illustrazioni all’interno, una per mese pure loro ovviamente, come le lune. Per fortuna poi King ci ha ripensato e ha scritto giusto un pochino di più che cinquecento parole a pagina, scoglio insormontabile persino per lui e si è aggiustato alla bene e meglio con questa storia che mi auguro leggerete o ri-leggerete.

Unico indizio la luna piena fa subito paura perché è ambientato nel paesino di Tarker’s Mills e Tarker’s Mills può essere un posto qualunque cambiandogli giusto il nome e come ogni paesino ovunque nel mondo, cela i suoi segreti, per citare il racconto. Ne consegue che tutti potremmo avere a che fare con un licantropo, il ché non è una cosa proprio gestibile come portare a spasso il cane. Faccio il mio incontro col lupo mannaro subito, proprio all’inizio del libro, prima pagina, primo mese, prima luna piena, prima vittima e non è che la cosa mi colga impreparata ma quello che mi salta subito agli occhi e che col tempo avevo dimenticato è il cognome della vittima: Westrum e Westrum fa rima con Redrum, per chi vuol capire.

Va beh. E con quella mezza paginetta inizia il terrore. Da qui la bravura incredibile del Re che riesce ad incastrare anche te (lo so, fa rima), con poche parole, tipo pennellate di un’impressionista, nel dannato capanno, col gelo, il vento e il grosso ospite non invitato. Non aprite quella porta! viene da gridare, ma ovviamente così non può essere, ed il libro irrompe in tutta la sua minuta forza creativa, una forza concentrata, condensata in poche righe per volta ma non si sa come mai, altrettanto efficace nel suo puntare il dito di ghiaccio di terrore proprio dritto dritto nel mio cuore (oddio di nuovo rima). Così i mesi passano a Tarker’s Mills ed ormai è chiaro che qualcosa va dannatamente storto visto che spuntano cadaveri come violette. Ormai la Bestia ha fame, la razionalità combatte con l’oscuro e l’ignoto e tutti sanno più o meno profondamente nel proprio cuore, che nessuno è più al riparo. 

Così mentre leggo mi sembra di stare in una delle tante case, sotto il coprifuoco, a sentire l’ululato nella notte ghiacciata di Marzo. E mi sembra di provare un sottile filo di terrore mentre accolgo l’arrivo della primavera che porta con se la luna d’Aprile che argenta le vie, vie che sono diventate pericolose e che nessuno sano di mente si sognerebbe mai di percorrere di notte, da solo. Perché non è unicamente negli incubi che il lupo mannaro ulula, o quantomeno, al risveglio, gli incubi non ti hanno staccato la testa con una zampata o banchettato con le tue viscere a meno ché non ti abbia fatto visita Freddy Krueger

Passano così i mesi e finalmente faccio conoscenza col piccolo antagonista del cattivo, Marty, che ovviamente ha capito tutto, persino chi sia il lupo nel suo aspetto diurno senza luna, ma non viene assolutamente creduto, andiamo, quello che va raccontando quel bamboccio traumatizzato e sulla sedia a rotelle è troppo assurdo da credere, si dice in giro. Già, ovvio, come se invece avere un licantropo che scorrazza per i boschi non sia altrettanto assurdo cari miei. Quello che mi pare incredibile, arrivata a leggere la parte relativa all’estate, sempre in pochissime pagine, è come riesca King a rendere le altrettante modiche frasi e minime parole un’atmosfera così evocativa, tanto evocativa che mi alzo e vado a chiudere la serratura della porta di casa e visto che ci sono appendo pure qualche corona d’aglio, ah, no, quella è per i vampiri, stacca tutto stacca. 

Perché la paura che mi si insinua nella testa è subdola visto che chiunque attorno a me può essere la Bestia: il postino, il vicino di casa, il benzinaio, il corriere Bartolini e perfino mio fratello. Con questa atmosfera di incertezza, tra un brutale omicidio e l’altro, il piccolo Marty Coslaw, il piccolo grande eroe che dicevo poco fa, si stanca di venire a patti con la paura ed il terrore. 

Marty è stufo di non essere creduto, di portare il pesante fardello della verità e soprattutto di vedere la gente che continua sistematicamente a morire, così, compie un atto per metà di coraggio e per metà di pazzia, più pazzia che coraggio secondo me. Sarà proprio questo atto a mettere il punto alla storia che, ripeto, nella sua brevità e fuggevolezza di racconto da leggere una sera attorno al fuoco, con un buon bicchiere di vino e qualche amico, riesce a risvegliare le antiche paure sopite in ognuno di noi. Le paure dell’ululato sinistro fin troppo vicino, del lupo mannaro che ha sempre fame, del licantropo che pattuglia le strade del nostro paese in cerca di vittime, spietato e terribilmente forte, della Bestia che sorgerà nuovamente ad ogni luna piena, protetta da una maschera diurna troppo difficile da strappare via. Allora, cari coloni sperduti, lunghi giorni e piacevoli notti a voi tutti, soprattutto in questo caso, piacevoli notti, io qualche posata dall’argenteria la vado a prendere e me la infilo sotto il cuscino, non si sa mai. L’argento è per i lupi, no? Sì, diamine, lo è. Aye!

Vostra affezionatissima,

D.D.

Dolores Deschain.

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