IT | Seconda Parte
- By: Dolores Deschain
È arrivato il circo! Uno dice, che bello! Insomma… io aspetterei prima di esultare. E quindi ora dove andiamo? Che facciamo? Chi siete, quanti siete, un fiorino! Facciamo che nel 1984 recupereremo Silver, va bene, ma una bici vecchia a che serve contro It? Per ora non lo sappiamo, sappiamo solo che più o meno ci siamo lasciati su questa domanda la volta scorsa cari coloni sperduti. Lunga vita alle vostre messi. Pennywise, nel frattempo, non ha smesso di spadroneggiare solo perché noi abbiamo smesso di parlarne per un po’, anzi! Appena finito di commuoverci per l’incontro con la mitica bicicletta (andiamo, non ditemi che rincontrandola non avete sentito qualcosa come una sorta di emozione, eh!) siamo tornati nel 1957, i Perdenti hanno capito il giochetto di It di assumere le sembianze delle loro paure, hanno localizzato come il suo quartier generale le fogne di Derry, una sorta di Bat Caverna ma al negativo, ed hanno deciso che devono provare a farlo fuori mentre cercano di sistemare il licantropo di Neibolt Street. Matti e coraggiosi!
It è un mondo. Ed essendo un mondo contiene moltissime tematiche che vanno oltre la semplice paura, l’horror e la tensione e che per quanto possibile devono essere prese in considerazione. In due parti almeno.
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Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Per il momento però il gruppo dei Sette è ancora in Sei, un po’ come i Tre Moschettieri che in realtà erano Quattro, perché siamo in un punto temporale in cui Mike Hanlon non è ancora entrato ufficialmente nel club. Lo so, lo so, avete avuto un capogiro. Tutto il romanzo è un continuo spostarsi nel tempo manco avessimo la DeLorean di Marty McFly, ma tranquilli, le strade dei bambini stanno per incrociarsi definitivamente: Mike sta fuggendo come al solito dal terzetto delle meraviglie Henry, Victor e Belch mentre i nostri sei perdenti dopo una veloce capatina alla discarica, devono fare dietro front ed optare per la cava di ghiaia poco distante dove almeno potranno far scoppiare in santa pace i petardi gentilmente offerti da Stan. E’ bello ed anche molto toccante constatare come il mondo emotivo dei bambini sia così colorato ed ampio tanto da permettergli di custodire il terribile segreto di Pennywise e contemporaneamente avere ancora voglia di fare un po’ casino coi propri amici. Come se le due cose potessero convivere in loro senza che l’una escluda l’altra in un atteggiamento tipico ed unico dell’età infantile che riesce a gestire traumi e situazioni difficili a volte molto meglio di quanto farebbe una qualsiasi persona adulta, aye. Tornando al nostro gruppo ecco che Mike spinto dal caso, dal destino, da una Forza Buona o dalle tre cose assieme, si catapulta dopo una corsa perdifiato proprio ai piedi di Bill che in qualche modo aveva percepito il suo arrivo e che si fa trovare pronto, con i proiettili di pietra in mano, per dare una lezione a Henry e ai suoi tirapiedi. Inizia così la sassaiola di quattro minuti più incasinata della storia di Derry (che poi, indirettamente, costerà un braccio rotto a Eddie e non solo). Ma vincono i nostri e Mike entra ufficialmente tra i Perdenti in modo quasi automatico e naturale. Siamo in sette qui adesso, ci siamo tutti, penseranno a turno i bambini, come se non avessero ancora effettivamente agito contro il mostro solo perché in attesa dell’ultimo membro del gruppo dal magico numero. Ed il senso di predestinazione è forte e chiaro. Questo almeno ci dice Derry ‘57.
Segnali di fumo.
Derry ‘84 invece ci dice che i Perdenti sono tornati dalle loro passeggiate amarcord che hanno fatto singolarmente e si sono ritrovati in biblioteca, il quartier generale di Mike, con alcolici vari portati da ciascuno, per buttare giù una sorta di piano d’azione. Da questo momento in poi ci si accorge perfettamente che inizia la parte serratissima del romanzo, la più intensa, sentita, carica, vigorosa, anche violenta, sicuramente magica. Insomma ce n’è per tutti i gusti, aye! Il tono delle pagine che leggiamo, non solo degli eventi, è più crudo e tocca momenti di tensione e terrore incredibili, come nel caso della morte tremenda di Patrick Hockstetter. Una morte atroce al pari solo della mente sfasciata del giovane. L’alternanza presente/passato in cui saltelliamo come tarantolati non ha mai raggiunto livelli così alti nell’intero volume, ma grazie ad essa scopriamo anche molti dettagli che fino ad ora erano rimasti in ombra. Sono i Perdenti stessi che ci portano nel passato e ci raccontano a turno cosa è accaduto in quel Luglio di lotta contro Pennywise e possono farlo perché finalmente ricordano tutto cari coloni miei. Ricordano, sì, ricordano punto per punto i giorni di quell’estate che segna anche il passaggio all’età adulta di ciascuno di loro e veniamo a sapere ad esempio la storia del dollaro d’argento che è stato utilizzato per farne dei colpi contro il lupo mannaro, che ad usare Alta Precisione con suddetti colpi è Beverly.Scopriamo come è stato costruito il covo sotterraneo nei Barren che poi ospiterà la prova del fumo e che Eddie ha finalmente capito che il suo inalatore è acqua al gusto di mentolo, pla-ce-bo. Mentre i perdenti adulti si scambiano questi ricordi e sbevazzano per darsi coraggio It non manca di dar loro un ulteriore messaggio scoraggiante mandando in dono, dentro il piccolo frigo della stanzetta di Mike in biblioteca, la testa di Stan Uris insieme ad una bella confezione di birre che a quel punto nessuno berrà più. A questo punto succede una cosa strana. Nonostante il gruppo sia privo della magica forza del numero Sette, nonostante non abbia più l’appoggio della forza mistica dei bambini e in pratica abbia tutti i numeri contro, Pennywise si ostina a scoraggiarlo? Come mai? Ma ha davvero di nuovo paura di questi senior? La risposta è sì. Ha paura, sentimento nuovissimo per questa entità vecchia come il Tempo. It ha paura non solo dei perdenti, ma soprattutto della rinnovata certezza che vi sia un Altro. Un Essere persino più vecchio di It e della Tartaruga che ha vomitato il mondo. Un Altro che sicuramente non è dalla sua parte ma che chiama a sé i Perdenti contro di lui. Di nuovo predestinazione, di nuovo sensazione che ci sia Qualcuno che agisce oltre e al di fuori di It e che vuole fermarlo. Tutto questo si traduce con il fatto che più i sei di Derry 84 ricordano, più sentono tornare dentro di loro la stessa forza che provarono ventisette anni prima. Il Bene torna ad imbastire un piano di azione contro Pennywise e ispira ogni membro del gruppo a fare le giuste mosse (tema che si ritrova anche nel recente The Outsider, link…). Quanto di tutto questo stiamo pensando noi e quanto di tutto questo è già stato pensato per noi?, citando il libro. Bella domanda.
Gli indiani al centro della terra, cantano con tutta la tribù…
Che il gruppo sia la fonte della forza di Bill & Co. 57/84 ormai è palese come il sole che sorge ogni giorno. Uno dei nodi cruciali del libro è proprio questo, non la forza del singolo, ma tanti singoli che insieme creano la forza unica del gruppo. Eh sì, tipo che la Forza sia con voi al sapore di Guerre Stellari. Dal gruppo esce qualcosa di grande, di positivo, di unico. Nessuno dei bambini da solo avrebbe mai potuto anche solo lontanamente impensierire It, ma così, insieme, sono qualcosa di potente. Forse tanto quanto Pennywise. Si lanciano allora in questa pazzia della prova del fumo di tradizione indiana, barricandosi nel loro club sottoterra ed accendendoci il fuoco per avere delle visioni su come combattere il mostro. Bella la parentesi della piccola scaramuccia tra i maschi e l’unica femmina, Bev, che riesce ad imporre il proprio diritto di partecipazione a quella sorta di rito e a non essere esclusa solo perché donna. Girl power Beverly! La cerimonia indiana che si svolge in quel lontano 1957 a Derry è una delle mie parti preferite del libro, insieme alla spedizione dei sette in Neibolt Street ed ovviamente al momento dello scontro finale. Ma se la spedizione di caccia al licantropo mi piace per la tensione e l’azione che si respira, questa cerimonia mi appassiona non tanto per la cosa in sé, quanto per il messaggio di profonda condivisione tra i bambini. Me li vedo tutti lì sotto, nella stanzetta sotterranea che loro stessi hanno scavato, quei matti. Nel buio del posto, rischiarato dalle fiamme del fuoco che sono subito offuscate dal fumo. Sette anime spaventate e coraggiose che hanno capito di far parte di un piano più grande di loro ma che non si tirano indietro. Sette anime che nel momento di maggiore terrore si sentono vive. Sette anime che respirano insieme come una, come veri guerrieri, anzi no, come veri Amici. Di quelli che puoi avere solo a dodici anni. Tengono duro fino a quanto possono e due di loro Richie e Mike, insieme, riescono addirittura ad andare oltre i limiti del corpo, del tempo e dello spazio, assistendo persino all’arrivo di It sulla Terra milioni di anni prima.
Tu chiamala, se vuoi, empatia.
Mi è venuta voglia di fondere dollari d’argento per farne proiettili contro i licantropi. Mi è venuta voglia di chiamare i miei amici d’infanzia di Gilead per fare un club. Di ribattezzare una strada 29 di Neibolt Street. Mi è persino venuta voglia di chiudermi in un buco sottoterra ad aspettare le visioni attorno ad un fuoco. Di aprire ogni frigorifero della zona per vedere se ci fossero dentro scritte o sanguisughe, di prendere una fionda e chiamarla Alta Precisione, di andare a caccia di lupi mannari. Questa è la forza di It. Partecipi così tanto alle storie dei ragazzi che ti senti uno di loro in una sorta di scambio, di empatia, che ti rimane appiccicata addosso anche quando hai finito di leggere il libro da un po’. E non li vuoi abbandonare i Perdenti, te li vuoi tenere vicino e ogni tanto li ripensi, li richiami alla mente perché durante la storia hai davvero preso parte a tutto.
Quando Richie si è rotto il braccio ho controllato che il mio stesse bene. Mi sono sentita a disagio quando Bev ha spiato il gruppo dei bulli alla discarica che incendiavano le loro flautolenze ed ho stretto la mano di Mike quando il club è andato indietro nel tempo. Le pagine ti tirano dentro per tutto il romanzo ma alla fine è un qualcosa di quasi concreto, fisico. Per citare la madre di Bill, c’è un sentore nell’aria, come di energia statica, ma molto più potente, molto più inquietante. Oltre a tutto questo It, il libro, nella parte finale tocca tantissimi argomenti, oltre a quelli già citati nella scorsa chiacchierata, dalla pazzia indotta dagli eventi a quella genetica, dalla solitudine degli adolescenti, al sentirsi o essere del tutto disadattati, dalla presa di coscienza che gli adulti imbrogliano, mentono, tradiscono, anche quelli che ami, alla consapevolezza che l’infanzia ad un certo punto finisce e con essa scompare la magia che l’ha accompagnata. Tutto finisce, tutto si dimentica. Yar.
Il n. 29 di Neibolt Street.
La spedizione dei bambini in uno dei posti di It, la casa sopra citata, è una sorta di spedizione alla ricerca delle tane tolkiane di Morlock nominate tante volte nelle pagine ma è anche la prima volta in cui osserviamo il gruppo al completo che va apertamente a fronteggiare Pennywise nelle vesti di licantropo. Loro vanno a casa sua, ci rendiamo conto? Loro! Piccoli, con una semplice fionda, due palline d’argento ed una spruzzata dall’inalatore di Eddie a testa. Vanno a contrastare un essere che abita quei posti da milioni di anni. Lo scrivo, l’ho letto, ma quasi non ci credo. Li amo tutti e sette questi pazzi, incondizionatamente. Eccoli dentro la casa di It, perlomeno la casa di facciata, quella che fa da passaggio tra il mondo degli uomini ed il mondo del mostro. Stan stringe la sua guida sugli uccelli, Bev la fionda, Eddie l’inalatore. Non direi armi sofisticatissime. Eppure procedono, attraversano stanze oscene, puzzolenti, nere, che si allungano e rimpiccioliscono, che gemono se li sentono ridere. Ma vanno avanti e finalmente lo vedono lo incontrano. Incontrano It! E qui King inserisce un punto che riesce ad essere romantico, quando il dolce Ben nonostante la battaglia, nonostante le ferite, nonostante l’abbiano scampata per un pelo, sanguinante e dolorante, riesce a soffrire più per amore che per l’artigliata della bestia all’addome. Ecco di nuovo il mondo emotivo dei bambini, così puri, così unici.
A volte ritornano.
L’onda del tempo passato travolge i perdenti del 1984 e non è solo un modo di dire. Quel Qualcosa che in un modo o nell’altro li ha voluti nella biblioteca di Mike è lì, con loro. Riapre ferite di ventisette anni prima, le fa sanguinare, fa riapparire le cicatrici nel vero senso della parola e il gruppo si prende per mano giurando di portare avanti la lotta contro il mostro di nuovo, ma giura senza parlare, con il cuore, con la mente, con lo spirito. Fatto questo ognuno riprende la via dei propri alloggi per riposare giusto un po’. Hanno tutti ben chiaro che il giorno seguente sarà quello cruciale e sono spaventati, stanchi, terrorizzati perché l’epilogo è più che mai incerto. Si apre così una notte pazzesca: Beverly ricorda cose spaventose sul padre che ad un certo punto è stato posseduto da It e quasi l’ha uccisa e Mike, rimasto a riordinare pensieri e libri in biblioteca, incontra un colosso di un metro e novanta terrificante, pazzo, violento, mostruoso. No, non It ma Henry, direttamente dal manicomio nella sala lettura e non per restituire la tessera scaduta. Il povero Henry, alla fine, fa anche un po’ pena. Completamente fuso di testa, le voci che lo assillano, la Luna che gli rompe le scatole e It, It che non lo lascia in pace un attimo e gli manda come autista lo stesso Belch che ha fatto fuori insieme a Victor in quel maledetto luglio del ’57. Autista per cosa? Ma ovviamente per portare Henry direttamente dietro la porta delle camere dei Perdenti e farli fuori uno ad uno per quella che sarà l’ora più buia della notte.
L’ora più buia della notte.
Mike esce perdente dallo scontro con Henry, in fin di vita viene portato all’ospedale e per un puro colpo di fortuna non siamo qui a scriverne l’epitaffio. A sua volta Henry ci rimette le penne contro Eddie, il primo della lista gentilmente lasciatagli da Pennywise con tanto di piano e numero di camera d’albergo. Ma il fatto che il gruppo sia riuscito ad eliminare Henry non vuol dire nulla. Adesso i perdenti sono solo in cinque ed è chiaro che It sta esercitando tutta la sua schifosa magia per soggiogare ogni anima di Derry. Bill, Bev, Richie, Eddie e Mike sono tornati ad essere i fantasmi di ventisette anni prima, assolutamente soli, non possono contare sull’aiuto di nessuno in paese ed ignorano che anche la moglie di Bill è già caduta nelle grinfie di Tom, ennesima marionetta del mostro ed è stata portata dritta drtitta nelle sue fauci. Con un Bill Tartaglia alle soglie della pazzia, alle tre di notte il gruppo si rimette in marcia verso le fogne di Derry. Stavolta davvero sentono di essere senza speranza, eppure, vanno. Mi chiedo due cose: uno, ma serio pensavate di poter dormire? Due, andate perché effettivamente credete in quello che fate o perché qualcuno o qualcosa vuole che andiate? Quanto delle loro decisioni è frutto di vero arbitrio e quanto invece è semplicemente la mossa in una scacchiera di qualche Forza extra terrena, in realtà, non lo so. In questo epilogo è davvero labile il confine tra ciò che è già deciso debba essere e ciò che liberamente si sceglie. Ma qualunque sia la verità delle cose, i Perdenti non fanno marcia indietro e tornano nei Barren, teatro dello scontro finale.
Il rito di Chüd, la Tartaruga, la sorpresa delle sorprese.
Oh coloni sperduti miei, gustatevi pagina per pagina di questo epilogo! Fatelo per me, per la vostra Dolores. Godetevi ogni parola, aye, ogni frase, yar, perché accade qualcosa ogni volta che si mette un punto. Tutto è vissuto a mille, amplificato, dall’amicizia dei bambini al terrore degli stessi, anche diventati adulti. Tutto si muove, tutto è elettrico, tutto è in divenire. Tutto è fatidico, come direbbe King. Non ci sono più esitazioni o ripensamenti da nessuna parte e la possibilità di sedersi sull’altalena del tempo e di leggere i due finali contemporaneamente è merce rara. Forse non una caratteristica esclusiva del libro che avete in mano, ma sicuramente poter assistere alla fine delle due storie assieme è favoloso. A questo punto voglio ripetere quello che ho detto all’inizio della prima parte della nostra chiacchierata su It. It è un mondo, un universo. Racchiude così tante sfaccettature e temi che almeno una volta nella vita si deve leggere. E’ un viaggio in dimensioni antiche, con Esseri presenti dall’inizio del Tempo (uno dei quali, vedrete, ha il mal di pancia e fa l’occhiolino alla Torre Nera). E se come me riuscirete a ri-leggerlo anche in altri momenti della vostra esistenza, vedrete che vi sembrerà un libro nuovo. Con cose da dirvi che alla prima lettura non avevate capito, alla seconda scovato, alla terza apprezzato. Ciò detto, dopo tutte le parole spese dalla prima recensione a questa riga, capite come mai non ho voluto parlare dei film e delle serie televisive che ne sono state tratte? Perché non reggono il passo. Non si possono fare confronti. Quello che vedete sullo schermo non è neanche una decima parte, ma che dico, neanche una centesima parte di tutto quello che è contenuto in questo libro. Non c’è storia, non c’è partita. E vedrete che milleduecento cartelle, alla fine, vi sembreranno poche. Sì, ammetto che alcuni pezzi sono effettivamente pesanti, troppo descrittivi, al limite della puntigliosità, e non mi pare contribuiscano alla trama, ma sono anche convinta che man mano che vi avvicinerete al finale non vorrete arrivare all’ultimo punto.
Tutto è compiuto.
Rivedremo Silver in azione e Bill batterà di nuovo il diavolo. Speriamo che stavolta se la riporti a casa questa benedetta bicicletta. Credo però che il finale vero e proprio non garberà a tutti. A me ogni volta lascia con l’amaro in bocca ed ogni volta mi ritrovo a desiderare che almeno due o tre cose fossero andate diversamente. Ma va beh, diciamo che perdono Stephen King per non aver esaudito tutti tutti i miei desideri di lettura. Dai, Re, non fa niente. Sei scusato. Però una cosa a chiusura della nostra chiacchierata ve la voglio ancora dire. Non fate come i Perdenti dell’84. Non fate come loro, non dimenticate, non dimenticate! Anche quando la magia delle pagine andrà scemando, sepolta quasi del tutto dai nuovi libri che leggerete, tenete It nel cuore. Ricordatevi del dolce Ben, del capo Bill, del matto Richie, del fragile Eddie, del saggio Mike, del dubbioso Stan e della guerriera Beverly. Ricordateli, ricordate i vostri amici perdenti perché Amici così non ne avrete mai più. Ciò detto vado, forse userò una Porta per affacciarmi a Derry. No, non Derry del 57 né quella dell’84 ma Derry del 2020, almeno sono al sicuro.
Spero.
Lunghi giorni e piacevoli notti,