Ossessione
- By: Dolores Deschain
Lunga vita alle vostre messi cari coloni sperduti. Probabilmente Walter ha usato una delle sue malie su di me cancellandomi la memoria perché non ricordo se vi ho già detto che sono una fan di Bachman. Sempre stata. E lo stile lo trovo diverso da quello di King. Sì, vedo differenze tra Stephen e Richard e magari le vedo perché le voglio vedere e in realtà non ci sono, non lo so, ma l’impressione è quella. Come se in qualche modo, a un livello segreto, non so se sfacciato o beffardo, a regalarci storie come Ossessione o come Blaze, L’uomo in fuga, Il tocco del male….. non sia stato solo il Re, ma anche Richard. Come se in Stephen King, in qualche modo, l’idea di scrivere impersonando qualcun altro poi abbia effettivamente modificato qualcosa nel modo di portare avanti la trama, di esprimersi, di mettere una parola dopo l’altra. In qualche modo, ripeto, sconosciuto a noi comuni mortali. E a chi non piace? Amen. C’è tanto altro da leggere, soprattutto, per tutto c’è un Tempo e questo è il Tempo di Ossessione quindi andiamo, yar!
Contiene Spoiler! Coloni avvisati...
Spaventati da Ossessione.
Come anticipato in un post di qualche tempo fa questa prima opera di King sotto mentite spoglie non ha avuto vita facile e per un certo periodo è stata ritirata dalla vendita, alla fine della recensione credo che capirete il perché… vi anticipo che ci saranno un sacco di puntini di sospensione questa volta, tra di noi… (che ci perdonino i cultori della lingua italiana che inorridiscono davanti ad essi vedesi Umberto Eco, requiescat in pace, ma tanto noi di Gilead non siamo veri scrittori…) Avete presente quando siete seduti scomodi? Quando avete sete ma non c’è un goccio d’acqua nelle vicinanze? Quando siete soli in camera ma avvertite chiaramente che qualcuno vi spia da dietro le spalle? Sentito un rumore? Qualcosa si è mosso dietro la tenda? Davvero stanotte starete distesi, da soli, in quel letto che assomiglia ad un feretro? …centrato il disagio che dico? Ecco… avverto proprio quel disagio lì. Sto col libro in mano e non so se voglio aprirlo… Mesi e mesi persi a rincorrerlo, finalmente lo trovo, una bellissima edizione vintage e originale e poi… mi manca il coraggio. Fisso la copertina e persino quella mi fa paura. Un gruppo di sette ragazzi. All’apparenza normali, sorridenti… ma uno, in bianco e nero contro tutti gli altri colorati e sorridenti, sembra uscito dritto dritto dall’Urlo di Munch. Mi dico, andiamo Dolores! Ti sei rammollita? Hai letto storie terrificanti e non hai fatto una piega… hai visto gli horror più tremendi di sola, di notte, a casa, nel buio e adesso hai paura di leggere un libro? Sì. Molto semplicemente… Perché Ossessione parla del Mostro peggiore che esista e che ti si annida in testa, ti prende il cuore in mano e ti mangia pezzo pezzo, da dentro. Mi rendo conto che ho paura perché Ossessione può riguardare tutti noi nel corso della vita, in modi diretti o indiretti. Sapendo questo accarezzo Cagliostro per farmi coraggio e inizio il viaggio…
Il congiungitore di mani del Liceo di Placerville.
Le prime pagine mi danno già ragione. I capitoli sono così brevi che sembrano paragrafi… Il disagio c’è e si mette comodo dentro di me. Leggo come se stessi in piedi e non seduta, come se mi prudesse un punto lontanissimo della schiena che non raggiungerò mai. Come se sentissi freddo e non avessi una misera giacca da indossare. Incontro Charlie, Charles Decker, è lui che racconta la sua storia e forse è meglio così. Probabilmente se l’avesse raccontata qualcun altro non sarebbe stata la stessa cosa. Gli resto seduta accanto, in attesa che il preside lo chiami in ufficio, ed entro nel suo mondo di squilibrio e follia che credo di intuire non sia solo la sua… spero che Charlie non si accorga che sono qui, se mi rivolgesse lo sguardo potrei impazzire. Col Preside non c’è dialogo, neanche un prova generale, vengo a sapere che Charlie ha ridotto molto male qualcuno (Mr Clalson con un serratubi) e siccome non mostra pentimento ma anzi aggiunge al tutto un carico di strapesantissimo piombo, in due minuti è espulso. Lunedì andrà all’Accademia di Greenmantle. Ma lunedì è lontano, ancora troppo lontano e C. è qui ora e ha tutto il tempo di lavorarsi il Preside e di farlo infuriare tanto che temo gli verrà un infarto proprio davanti a me, per ora ha tutto il tempo di viversi il giorno della grande svolta durante il quale anche l’ultima stilla di sanità mentale resta imprigionata per sempre nell’erba del prato di fronte al liceo. A questo punto resto un passo indietro a lui e guardo bene di non sfiorarlo nemmeno per timore che la sua follia sia contagiosa.
Il terminatore, tra luce e tenebre
Mentre Charlie guadagna terreno verso il suo armadietto e la totale sconfitta del pensiero razionale, la paura mi sale perché non sono più in attesa che accada qualcosa. Qualcosa sta già accadendo. E nessuno al momento, tranne me, si è accorto che il punto più alto della salita delle montagne russe è stato raggiunto.
Se qualcosa si poteva fare prima che Charlie arrivasse proprio lì, adesso è troppo tardi e non si può far nulla. La discesa verso l’inferno inizia, e inizia con un fuoco nel suo ex armadietto, con una pistola nella cintura e con le pallottole prese nella scrivania del padre. Questo padre che spancia cervi, che si porta a caccia un figlio di nove anni pretendendo che non vomiti alla vista di interiora di animale che si riversano a terra e che se scoprisse qualcuno con sua moglie userebbe quel dannato stesso coltello per aprire altre pance, stavolta non di cervo. Intanto Charlie che non ha più nove anni apre la porta dell’Aula 16, Algebra II, dove Mrs Underwood morirà ancora prima di aver realizzato che quello che l’ha colpita in testa è il proiettile uscito dalla pistola del ragazzo al quale ha appena chiesto la giustificazione della presidenza.
La prima a cadere ma non l’ultima l’insegnante Undewood, mi rendo conto, e difatti così è. Come se fosse tutto normale C. si siede al posto della defunta da pochi secondi e fa chiudere la porta a chiave da uno dei compagni ancora capace di muoversi e non completamente ghiacciato più dalla sorpresa che dal terrore. Non prima di aver sparato ed ucciso ancora, ovviamente.
Come reagiscono i ragazzi a tutto questo? Beh nessuno dà di matto (non più di Charlie almeno), nessuno va in crisi, nessuno prova a guadagnare la porta, nessuno cerca di mettersi in salvo dalla finestra. Sarà lo shock, certo. Sarà che i ragazzi vivono di pane e violenza. Sarà che in America procurarsi un’arma è facile come procurarsi un motorino. Sarà che Charlie non è poi tanto più matto di loro. Fatto sta che sono tutti seduti ai propri posti e parlano con lui, addirittura, e ricordiamoci che questo è accaduto dopo due omicidi. Così Charlie racconta loro del padre ufficiale reclutatore, di quando aveva quattro anni ed ha rotto le controfinestre di casa e di quanto fosse stato dolce che sua madre gli avesse asciugato le lacrime.
Allora mi sento confusa e mi chiedo: ma che cosa accade in quella classe? Cosa succede a tutti? Perché il massimo che riescono a fare è ridacchiare del fatto che Ted sia stato messo a sedere (che forse va anche bene altrimenti le vittime sarebbero state già molte di più)? Me lo chiedo io, se lo chiede persino Charlie e se se lo chiede lui, figuriamoci se la risposta può averla la sottoscritta.
Chi conduce il gioco?
Una cosa però la capisco. La calma apparente che si crea in classe, Charlie in cattedra e gli altri ai propri banchi, in realtà è il coperchio di un calderone che da troppo tempo è sul fuoco. Il calderone è così scottante che non bolle neanche più. Al suo interno l’acqua si è ritirata e adesso quello che c’era dentro è sul punto di scoppiare. È proprio quello che vuole C. Continua a rimescolare i segreti, le invidie, i rancori di ciascuno dei presenti che sono diventati pezzi incandescenti. E allora i segreti vengono svelati, si approfitta per spiattellare questo o quel dettaglio imbarazzante, come avere una madre ubriacona, e pian piano l’ipocrita maschera dei liceali perfetti si scioglie o, per citare il libro, sotto la scorza si nascondeva un vivaio di mosche e qualcuno quella scorza l’aveva grattata via. Niente appoggio quindi, niente altruismo. Niente far fronte comune contro il ragazzo che ha dato di matto, ma cavalcare l’onda dell’odio ed attenderne una bella alta, magari di una trentina di metri. Stesso trattamento per chi prova a farlo ragionare dall’esterno, come Mr Grace che di solito sistema i cervelli fusi delle persone ma in questo caso finirà a piagnucolare come un bambino, vinto dal liceale. In questo perfido gioco Charlie è bravissimo, prende le persone e le capovolge, le chiude in trappola, da cacciatrici le fa diventare prede e dà il via ad un’interpretazione che addirittura crea degli ammiratori in classe. Qualcuno addirittura gli butta là un “forza Charlie fottili tutti!”. Qui il mio sgomento aumenta a livelli a dir poco incredibili. Non capisco cosa accada davvero. Ma allora è davvero Charlie il matto?
Allora è lui che sta giocando o tutti gli altri che approfittano che si sia tolto la maschera ed abbia cominciato il suo show di morte? Mi viene da chiedermi: quanti di quei bravi ragazzi pronti a metterlo alla gogna una volta fuori, vorrebbero essere al suo posto? Quanti, a tirare il grilletto?
9.50
Continuando a leggere scopro molte cose non solo sui ragazzi ma anche sulle loro famiglie, famiglie per bene, con genitori iscritti a club ed associazioni varie, di giorno, e che di sera sono impegnati a sotterrare il più profondamente possibile le proprie scappatelle o ad annegare gattini nella vasca da bagno. Già, annegare gatti nella vasca da bagno. La cosa mi sembra alquanto pazzoide, anzi, molto pazzoide. Piccoli grandi focherelli di paglia ed enormi roghi che neanche cento autocisterne di pompieri accorsi sul posto riuscirebbero a spegnere. Ed è qui che arriva un altro fan di Charlie che gli dice che sta andando forte, non solo, davanti a tutti due ragazze, sempre per volere di C., si insultano e si picchiano fino alle lacrime. Una vince, l’altra perde, poi si scusano e se ne tornano a sedere. Sono le 9:50. Tutto è iniziato 45 minuti prima ma sembra passata una vita.
All’arrivo dei giornalisti televisivi i ragazzi si procurano una radio e si mettono in ascolto e, altro momento in cui mi sento confusa, come si rendono conto che qualche notizia passata è falsa, si lamentano dei cronisti e non del fatto che i cronisti hanno appena annunciato i nomi dei due morti e quelli dei 24 ostaggi. Perché sono ostaggi, ricordiamolo… finché uno di loro ammette ad alta voce che vorrebbe avere il suo stesso fegato ed un altro lo invita a raccontare ancora qualcosa della sua vita.
10.55-13.00
Sembra che l’aula 16, Algebra II, sia un mondo a parte. Un universo parallelo dove accadono cose, si vivono vite, ci si confessa e si guarda in faccia la follia, la propria, o quella degli altri. Del mondo che ghettizza o della gente che non si sognerebbe mai di andare in giro con una pistola e di quella che invece la usa eccome.
Fuori quelle mura c’è il mondo vero, i poliziotti che si organizzano i mediatori che prendono tempo, le tv che vendono già la storia di Charles Decker il matto. Poi i due mondi si incontrano e ci sono spari, urla, follia, qualcuno si riprende e qualcun altro che ha la possibilità di scappare, non lo fa mentre nella stanza aleggia una domanda: come fa la gente a sapere di essere reale? Forse questo libro gira tutto attorno a questo dubbio mentre arriva mezzogiorno e tutto deve concludersi da lì a poco. Il racconto così termina con una risoluzione che mi lascia perplessa al pari dell’inizio e di tutto quello che è seguito dopo. E a lasciarmi dubbiosa, ripeto, più che Charlie sono gli altri presenti in classe che in teoria sono quelli che mentalmente non dovrebbero avere disagi. Resto a fissare le pagine a lungo, con Cagliostro che forse ha avvertito il mio imbarazzo e cerca di consolarmi con le sue fusa medicamentose.
Mi chiedo: cosa ho letto? Chi era davvero il protagonista? Quali le sue intenzioni? Cosa è accaduto davvero in quell’aula? È stato tutto per punire chi, Ted? E’ stato un esperimento che ha contato due vittime solo per vedere se a Charlie veniva bene inglobarlo nel blob di follia collettiva che si è scatenato contro di lui? O è ancora una rivincita su un padre violento che si tiene a bada con un’ascia? Ha a che fare con la mamma che se si mette a dispetto te la fa pagare in u modo o nell’altro?
Con la società che ti manda in pappa il cervello già a quattro anni?
Cari coloni sperduti sinceramente non so rispondere…
Un budino, un segreto
Non so rispondere ma so che il budino non mi è mai piaciuto così come non piace al nuovo Charlie che incontro sul finale. Ma poi, sarà davvero nuovo? Lui spegne la luce ed io chiudo il libro, abbraccio il gatto e cerco di mettere ordine alle mille domande che al momento mi affollano il cervello. Questo racconto è molto particolare e per tanti aspetti è un horror che fa davvero paura e che sconvolge, soprattutto se si pensa a quanti anni fa risale e quanto sia ancora dannatamente attuale…
Il disagio provato all’inizio non è affatto scomparso, semmai ha raggiunto livelli non considerati. Resto dell’idea che Bachman abbia contagiato in qualche modo King e che King, senza Bachman, abbia perso qualcosa…
Io di certo continuerò a leggerli e rileggerli tutti e due, anche se non guarderò più un prato allo stesso modo di prima, o un lucchetto, se è per questo… i puntini di sospensione sono tornati, segno che è ora di andare…
Quindi vado, sì, vado… ma non prima di augurare a tutti lunghi giorni e piacevoli notti.