fbpx

Se Scorre il Sangue

Se Scorre il Sangue

Lunghi giorni e piacevoli notti,  cari coloni sperduti.

Non posso negare di essere felice come l’attimo che precede l’apertura di un regalo, come quando azzecchi una frase di un film prima che venga pronunciata dalla protagonista, addirittura come quando rivedi la più corteggiata del paese dopo venti anni e la ritrovi invecchiata, ingrassata, con figli appresso e tanto di marito che smadonna di sbrigarsi. 

Pensate un po’! Ma questa gioia è giustificata perché finalmente è arrivato il momento di commentare Se scorre il sangue! Dopo gli ultimi romanzi Sleeping Beauties, L’istituto e The Outsider il Re torna alla forma del racconto che tanto ama e che non ha mai del tutto abbandonato nel corso della sua carriera regalando anzi delle vere perle come The Body, The Mist, 1408 o 1922, per citarne solo alcuni. No, non sto dando i numeri, non ancora almeno,  sono i titoli dei racconti amici miei. Ma per la chiacchierata che sta per iniziare dovrete necessariamente trasformarvi in camaleonti del concetto e dell’immaginazione. Dovrete essere pronti a rendere flessibili cuore e cervello e ad aprirvi al pensiero laterale, in onore dei quattro racconti di cui vado a parlare, così diversi l’uno dall’altro che sembrano scritti da quattro autori differenti. Una sfida dite? Sì, può essere. Buttate i paraocchi, lasciate da parte preconcetti ed aspettative ed accettate, semplicemente, ciò che viene. Nell’ottica di questa filosofia (che in realtà andrebbe applicata anche alla vita, non solo alla lettura), vorrei assegnare a ciascuno di loro un diverso livello di paura. Un diverso livello di terrore, al quale accostare uno stato d’animo differente ed una modalità di lettura dedicata: per il primo vi consiglio modalità di lettura soft horror (ovvero fa paura ma non tanto), per il secondo modalità apocalittico introspettiva (ovvero si parte per un viaggio a metà tra la fantascienza e la new age con una spruzzata di esistenzialismo), per il terzo spy surprise (ovvero si rivede  l’horror poliziesco di qualche tempo fa ma con dei risvolti inaspettati) e per il quarto modalità realismo magico kafkiano (ovvero forse non ci azzecca comunque col racconto, ma a quello mi ha fatto pensare, oh che volete?). Queste non sono assolutamente classificazioni esistenti (tranne la quarta credo) ma secondo me danno un’idea del gusto delle storie. Ritroviamo anche con piacere una nostra vecchia conoscenza che fa capolino dalle pagine in pieno suo stile pacato ma diretto… chi è??? Mbé almeno la fatica di leggere tutta la recensione la dovete fare per saperlo, aye!

Il telefono del signor Harrigan

Una frase per tutte mi è rimasta in testa di questo racconto che fa da apripista agli altri e prepara il terreno: non chiamare se non vuoi sentirti rispondere. Chiamare chi? Direte voi. Un morto a telefono, dico io. Sono da sempre dell’idea che fede o non fede, non si debba scherzare con quello che non si conosce. I morti sono morti e tali devono restare. Si deve ricordarli, certo, onorarli con l’affetto, sicuro, ma niente più. È bene che i due mondi restino separati, quindi, che si tratti di un gesto semplice ed alla fine anche affettuoso come quello fatto dal protagonista che infila il cellulare nella tasca della giacca del defunto Harrigan poco prima che chiudano la bara, o di un gruppetto di amici che si mettono a provare una tavoletta Ouija, non si fa. Non si fa. Non si fa. Ma ecco cosa si dice nelle pagine. Il nostro uomo non è un uomo ma un bambino più o meno in età di scuola media, Craig, che ha il talento di saper leggere molto bene e fluidamente già verso gli otto, nove anni. La cosa viene notata da diverse persone tra cui, appunto, tale signor Harrigan. Attualmente pensionato e con problemi di salute, Harrigan fino a poco tempo prima di ritirarsi nella sua grande casona sulla collinona era uomo d’affari ricco, molto, tanto, anche di più. Harrigan, una sorta di Scrooge dei tempi nostri, senza figli, moglie né parenti diretti in vita, di poche parole, scontroso e col braccetto corto anche negli affetti, decide di assumere il piccolo Craig come lettore personale di romanzi e un qualcosa a metà tra giardiniere e tuttofare, pagandolo una miseria. Ma poi accade che i due vanno davvero d’accordo. Durante i quattro anni di servizio per H. Craig è contento non solo del lavoro, di leggere e di guadagnare qualche soldo, ma proprio del rapporto di amicizia che riesce ad imbastire con un tipo complicato e difficile come lui. Scrooge dal canto suo può dire di aver trovato l’unico alleato sincero della sua vita ed insomma il rapporto creatosi li arricchisce a vicenda e costruisce qualcosa di molto simile all’affetto. Fin qui tutto bene. Ma come abbiamo detto Harrigan è anziano e malato ed un giorno lascia questa terra e Craig con essa. Il bambino ovviamente è molto dispiaciuto ed ecco che, il giorno del funerale, infila nella tasca della giacca di H. il cellulare che lui stesso gli aveva comprato vincendo le ritrosie iniziali dell’anziano e facendogli apprezzare tantissimo il regalo col tempo. Così tanto che telefono e signor H. diventano inseparabili, che poi è il motivo che spinge Craig a fare il gesto. Anche fin qui tutto bene direte voi, sì, in un certo senso… fino a quando, per svariati motivi, Craig sente il bisogno di comunicare con il suo amico, anche solo per sfogarsi, su eventi che stanno accadendo nel suo paese e nella sua vita e… Scrooge non gli ritelefona, no, ma il messaggio che il bambino gli ha lasciato nella segreteria non solo pare sia stato ascoltato, ma da quel momento in poi addirittura sembra che accadano cose strettamente legate alle rimostranze espresse da C. nei messaggi lasciati al caro estinto. Cominciano ad arrivare addirittura sms sul telefono del bambino proprio a nome del defunto H. Com’è possibile? Craig è riuscito in qualche modo ad aprire una sorta di portale tra il mondo dei vivi e quello dei morti? E’ davvero H. che gli risponde? E se non è lui, come mai stanno accadendo quelle cose così dannatamente collegate con le richieste che Craig gli ha espresso? In un’atmosfera di incertezza dove un minuto si crede nell’impossibile ed il minuto successivo la razionalità spazza via ogni dubbio, King scrive un racconto di amicizia, di vendetta, di desideri, di portali tra due mondi e di inquietudine. Il telefono del Signor Harrigan, come dicevo nell’introduzione, non fa propriamente paura ed è scritto in uno stile quasi leggero, ma qualche domanda sull’altro mondo, su come Internet è entrato a cambiare la nostra vita e su quanto a volte si debba stare attenti a desiderare certe cose, ce la fa fare.

La vita di Chuck.

Ognuno di noi contiene un mondo, o per dirla come nel racconto moltitudini. Ognuno di noi è così importante, sebbene si possa pensare esattamente il contrario, così strettamente connesso agli altri, che se muore è come se morisse l’universo intero. Le stelle si spengono, la terra sprofonda e la gente scompare. Questo è il messaggio del secondo racconto. E’ successa una cosa strana mentre lo leggevo, sapete?. La storia è divisa in tre parti e praticamente inizia dalla fine, ma solo nell’ultima parte delle tre, che in realtà è la base dei primi due atti e che fa capire come mai è successo quello che è successo al protagonista Chuck, morto a 39 anni per un brutto male, mi è parsa davvero dello stile King. Strano vero? Non so spiegarvi bene come cari coloni miei, ma ho avuto l’impressione che Chuck il bambino delle medie al quale muore la nonna prima ed il nonno poi e che fa le indagini sulla soffitta dei fantasmi e sente di contenere moltitudini, ecco, è lui il vero protagonista del racconto e non il suo avatar adulto. La vita di Chuck dapprincipio pare una storia sull’apocalisse poi si sposta sul tema presenze/fantasmi ed in fine si trasforma in altro. Qualunque sia il filo conduttore di questo racconto nelle sue tre parti, cari coloni sperdutissimi miei, ricordatevi sempre che siamo figli delle stelle e che conteniamo moltitudini. Ogni vita che si spegne può far spegnere il mondo. E non è un modo di dire, yar.

Se scorre il sangue.

Per Holly Gibney hip hip urrà! La stavo aspettando da un po’, la mia antieroina preferita ed eccola qui! Per chi di voi non avesse sentito prima d’ora questo nome, Holly Gibney è un personaggio, partito come secondario ed inserito nella trilogia di Mr Mercedes, che poi ha fatto breccia non solo nei cuori dei lettori ma di Stephen King stesso, che successivamente l’ha prima inserita nel romanzo The Outsider promuovendola a co-protagonista del detective Ralph Anderson, ed in fine le ha dato uno spazio tutto suo in questo racconto. Non è strettamente necessario aver letto The Outsider prima di queste pagine ma certo se non l’avete fatto e potete ovviare alla cosa è meglio. Dai Stevie, regalale un romanzo intero ad Holly, che ti costa? Holly ha una personalità particolarissima, è bravissima nel suo lavoro investigativo ma è anche una donna che vive la sua individualità borderline ogni giorno. Un po’ psicotica, problematica, nevrotica, terrorizzata dalla vita per citare il libro, ha un cuore grande che dentro ci starebbero comodi comodi almeno dieci universi, è generosa, crede nell’amicizia e negli affetti importanti ma soprattutto, se le assegnano un caso, non riposa fino a quando non lo risolve. Che si tratti di una frode assicurativa o di un vampiro che si nutre del sangue misto al dolore della gente. Soprattutto, Holly, è una donna che crede in una forza positiva, in una presenza che le fa notare le cose, le mostra le connessioni tra i casi, i parallelismi, che quasi quasi la ispira nel seguire determinate piste piuttosto che altre. Questa storia, che regala il nome al libro, è la mia preferita. Si capisce per caso?. Ma stavolta non c’entra il fatto che la protagonista sia Holly quanto piuttosto che questo racconto rispetto agli altri vanti una trama molto più articolata. Lo stile di scrittura sembra più sentito, preciso, dettagliato, profondo. È come se in Se scorre il sangue avvertissi più chiaramente la presenza di S.K. Nel racconto dicevo che ritrovo Holly che, dopo le vicende culminate in Texas, è tornata alla sua agenzia investigativa, Finders Keepers, che va alla grande ed ha molto lavoro. L’investigatrice potrebbe permettersi una vita scandita dalla sua professione e dalle sue passioni, ha trovato un certo equilibrio emotivo, ha degli amici fidati che le vogliono davvero bene e potrebbe infischiarsene di tutto e tutti. Ma, c’è un ma. Dall’attentato alla scuola media Albert Macready nella piccola cittadina di Pineborough, che purtroppo miete tantissime giovani vite, vite di bambini innocenti, le si è insinuato un tarlo in testa e non riesce più a liberarsene. Anche se non è stata incaricata di trovare l’attentatore, anche se non è ufficialmente un suo caso. Ma (di nuovo) le similitudini e le connessioni che riesce a vedere solo lei, le stanno dipingendo un quadro troppo chiaro della situazione per ignorarlo. Holly riesce a capire praticamente fin da subito chi sia l’attentatore ma (e siamo a tre) la spiegazione è così impossibile da dare, così improbabile e così pazzesca che neanche lei è tanto convinta di avere ragione e soprattutto, se anche si convincesse, dovrebbe provare la sua tesi. Ma (siamo a quattro, cinque? Sei?) è troppo pazzesca, assurda. E poi provarla a chi? Chi le crederebbe mai?. L’unico che potrebbe farlo ed appoggiarla in questa strana caccia all’uomo è il suo amico Ralph Aderson che però è al momento irraggiungibile e sinceramente H. non se la sente nemmeno di tirarlo in fondo a quella storia che più dipana, più sembra essere incredibile ed insensata. Persino più insensata della storia che ha vissuto con lui e che è finita in una caverna pronta a sbriciolarsi per un solo sospiro, faccia a faccia con un mostro. Per fortuna Holly trova un altro fondamentale appoggio dalla strana coppia Dell, nonno e nipote, che le sveleranno verità agghiaccianti e dissestanti proprio su quel qualcuno che lei ha inquadrato fin da subito. Tirate le somme di tutto, in particolare evidenziata la rete delle connessioni che non si possono più ignorare Holly decide di affrontare da sola la creatura (quanta strada ha fatto la spaurita Holly dalla sua prima apparizione!) che si è portato via le esistenze dei bambini tracciando una trappola quasi perfetta. Quasi perché Holly, che organizza sempre tutto, che è un passo avanti, che ha un disegno ben preciso in testa, non considera una variabile nascosta: i suoi amici Barb e Jerome che prenderanno parte al finale in modo del tutto inaspettato. Un racconto pazzesco, mozzafiato, di investigazione ma anche di soprannaturale, un mix nel miglior stile Outsider che conosciamo. Secondo me, da solo, vale l’intero libro.

Ratto.

Se proprio dovesse arrivare il giorno della mia completa demenza mentale e vedessi animali che mi parlano, preferirei che a parlarmi fosse Cagliostro. Meglio conversare col gatto che con un ratto, mi scusino gli amanti dei topi. Probabilmente Cal mi prenderebbe a parolacce più che intavolare un discorso civile, ma per il momento il dubbio resta dubbio. Se mai mi rivolgerà la parola vi terrò aggiornati. Perché questa premessa? Perché il Ratto del titolo è proprio un ratto ratto della famiglia dei ratti ed un giorno il protagonista della storia, lo scrittore Drew Larson, più che scrittore insegnante di inglese e scrittore, si ritrova in una casetta sperduta in montagna, nel bel mezzo di una tempesta terrificante, da solo, senza luce, con una mezza polmonite, una moglie incavolata nera a chilometri e chilometri di distanza, il ricordo di un fazzoletto pieno di moccio del maledetto Roy DeWitt che gli ha passato la mezza polmonite, ed un libro da finire ma che odora di blocco dello scrittore. In tutto questo, parla con un ratto. Non una situazione delle più piacevoli… o normali. In particolare perché il ratto ha in serbo per lui uno scherzetto niente male. Gli darà la possibilità di finire il libro (tanto non scherziamo Drew, sappiamo bene che hai di nuovo intrapreso la strada dell’esaurimento nervoso iniziata con il romanzo del villaggio) forse di pubblicarlo chiedendo in cambio una cosetta da niente. La morte di tale Al Stamper, suo ex capodipartimento, che tra l’altro ha già un piede nella fossa. Più che fargli esprimere un desiderio, in pratica, il ratto chiede un baratto, che fa pure rima. Cosa dire di questo racconto? Che mi ha divertita. In realtà non avrebbe dovuto divertirmi e scoprirete perché, ma così è stato, non posso negarlo. Mi è piaciuta poi la parte incentrata sul libro che Drew stava scrivendo, la parte della forza creativa degli scrittori (e dei ratti) ma ancora di più mi ha fatto sorridere il discorso col roditore. Poi tutto quello che si legge tra le righe, la depressione di Drew, la voglia di emergere che non viene mai concretizzata, le disillusioni, le frustrazioni, i rancori, i dialoghi immaginari che sono più che altro con sé stessi, le casualità che assomigliano a desideri realizzati e che si trasformano in tragedie, le bugie e le varie ingiustizie della vita, beh, tutto quello fa parte, appunto, delle varie ingiustizie della vita, cari coloni mei.

Bene, questo è quanto su Se scorre il sangue. Non mi pare che gli altri racconti presenti, seppur interessanti, reggano il confronto con quello con Holly Gibney. Stevie, ripeto, avresti potuto farlo un po’ più lungo ed articolato e trasformarlo in un romanzo tutto per lei. Pensaci la prossima volta. Holly non delude. Mi raccomando, stilate la vostra classifica personale anche voi cari coloni sperduti e fatemi sapere qual è la storia che prediligete io, come sempre, continuo a leggere del Re e vi rimando alla prossima chiacchierata, ma non prima di aver augurato lunga vita alle vostre messi.

 
 

Vostra affezionata,

D.D.

Dolores Deschain.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *