L’Ombra dello Scorpione – Parte Prima
- By: Dolores Deschain
Sua Maestà L’ombra dello scorpione.
Cari coloni sperduti, lunga vita alle vostre messi.
Tirate il tappeto rosso e organizzate la diretta Facebook perché oggi vi parlerò di uno dei libri più conosciuti di Stephen King nonché dei più venduti, L’Ombra dello scorpione.
A suo tempo, in quel di Gilead, sono riuscita ad accaparrarmi l’edizione integrale, o come SK stesso dice l’espansione del libro uscito in versione tagliata nel 1978, che conta novecento pagine scritte fitte fitte e in piccolo piccolo che proverò a commentare, magari eccezzziunalmende in diverse parti visto che c’è tanto da dire, in barba alla barba che potrebbe crescervi nel frattempo che leggete tutto.
E voi coloni sprovveduti che avete etichettato L’ombra dello scorpione come un mattone noioso tiratevi le orecchie da soli, perché invece insieme a IT quest’opera non solo non ha paura del tempo, e ne è prova l’attualissimo topic, ma soprattutto aggiungendola alla saga della Torre Nera, compone il tris di chef d’oeuvres del Re.
Stephen King è principalmente queste tre opere colossali dove si ritrovano le tematiche cruciali della sua produzione, e poi è anche tutto il resto.
E comunque ricordatevi che esiste sempre l’edizione tagliuzzata, aye. Certo, visto l’argomento e visto che vi scrivo durante i difficili giorni della pandemia ammetto di essere stata un po’ pazza a (ri)buttarmi in tutto quello che la lettura del romanzone dello scorpione rappresenta e comporta. Ma, d’altra parte, la pazzia è elogiata come la chiave per vivere felici, quindi, yar.
Sfuggire all’adattamento televisivo, mission impossible.
Una dritta. A fine 2020 dovrebbe debuttare una serie televisiva in dieci episodi di cui si parlava già nel 2019, a cura della CBS All Access ed ispirata al romanzo di oggi, che cercherà di soppiantare quella già andata in onda nel 1994, in quattro puntate. Ma credo che scalzare la precedente messa in onda sarà facile visto che non è proprio roba da promuovere. Non tanto per gli effetti speciali datati, ma soprattutto per le tante, troppe, incongruenze con il maestoso manoscritto. Capisco che con un’opera epica come questa qualcosa sfugga, ma almeno i personaggi nei loro tratti principali dovrebbero essere rispettati e purtroppo non è stato fatto, anzi a volte si fa fatica addirittura a riconoscerli, i personaggi. Stiamo a vedere quindi se potremo rifarci con la nuova programmazione del doppio 20 che vanta un cast variegato di interpreti tra cui Whoopi Goldberg e Marylin Manson, sì, proprio lui, il chierichetto in pieno servizio delle sue sacre funzioni.
In ultimo mi chiedo se daranno l’ok al progetto visto che si parla di un terribile virus chiamato Captain Trips “scappato” da un laboratorio e che diventa pandemia globale, argomento fin troppo attuale. Per concludere, se siete fan del genere horror/post apocalittico, vi segnalo le pellicole: Carriers – Contagio letale del 2009 con Chris Pine (Star Trek Beyond ed i due recenti Wonder Woman), La città verrà distrutta all’alba del 2010 che riprende l’omonimo di George A. Romero del 1973 (un saluto anche sua maestà Romero, aye) e The Road con Viggo Mortensen (Il Signore degli anelli, Green Book).
Randall Flagg e Mother Abagail, due facce di una stessa medaglia.
Bene e Male, il Dualismo contrapposto fin dalla notte dei tempi e da allora super inflazionato. Anche SK in molti dei suoi racconti mette di fronte le due forze in modo più o meno velato ma in questo caso gli schieramenti opposti sono davvero ben distinti per personaggi, location, sviluppi della storia e incarnazioni dell’una e dell’altra faccia della medaglia. Quindi se da una parte c’è la figura della dolce vecchina Mother Abagail, cento e otto anni che si cominciano a sentire, dall’altra svetta il tremendo Randall Flagg, che molti ricorderanno in altri libri del Re del calibro de La Torre Nera e Gli occhi del drago.
Nel corso della storia le due fazioni finiscono col comporre ciascuna la propria squadra, fondare la propria comunità ed attirare simpatizzanti in modi più o meno sovrannaturali. Il lettore così si ritrova a parteggiare per i protagonisti finendo col considerarli quasi persone di famiglia, amici, vivendo un’immedesimazione ed un coinvolgimento profondo con le loro sorti. Cosa tipica solo delle grandi opere. Ma non è solo Bene e Male che SK gioca a contrapporre nel romanzo, nar. Vengono messe a confronto anche le varie ramificazioni delle due grandi correnti, ad esempio l’Orrorifico si oppone al Sentimentale, la Violenza alla Non violenza, la Guerra alla Pace, l’Amore all’Odio, la Vita alla Morte e via col vento. Ed è questa una delle grandi abilità di Stephen King: il talento evocativo e la sensibilità nel raccontare ogni sentimento nel dettaglio, fino a sviscerarlo facendoti pensare di avere tu stesso in qualche modo potere sulla materia primordiale delle parole.
Come se ne fossi parte attiva e non solo passiva. E così in una pagina sondi l’orrore di attraversare il Lincoln Tunnel buio e pieno di morti insieme a Larry, in un’altra leggi di sentimenti delicati come quelli di Frannie, incinta, che scrive un diario per il suo bimbo che arriverà in un’era sottosopra, in un’altra ancora incontri Tom Cullen e vorresti proteggerlo da tutte le brutture del mondo ed in fine ti perdi nello sguardo del piccolo Joe. Bene, è tempo di iniziare questo viaggio epico che almeno una volta nella vita si deve fare.
Baby LaVon fugge in piena notte.
L’ombra dello scorpione si apre con il mio incubo ricorrente: dover fuggire nel cuore della notte per una sciagura in corso. A pagina 1 mi immergo in un’atmosfera di incertezza che mi fa capire che è il guaio è grosso perché se così non fosse Charlie non sveglierebbe moglie e figlia, Baby LaVon (complimenti per il nome), intimando loro di saltare in macchina dopo aver ficcato alla rinfusa qualcosa in borsa. Seguo la famiglia e capisco che Charlie è l’ormai ex guardia notturna di un laboratorio, chetelodicoafare, che non tornerà più indietro.
La famigliola arriva ad Arnette, anzi, più precisamente si schianta sopra il distributore di benzina a due passi da un gruppetto di indigeni locali e dal taciturno Stu Redman, uno dei protagonisti principali, e da quel momento in poi è palese che Captain Trips, il super virus con il 99% di infettività e quindi di morte, fuggito proprio dal laboratorio di Charlie, abbia iniziato il suo lavoro di devastazione che continuerà ininterrottamente per diciannove giorni. Vi sembrano pochi 19 giorni? Credetemi, bastano affinché il mondo sia bello che fottuto, scusate il francesismo. E pensare che in tutto questo sono stati cruciali quaranta secondi, il tempo necessario di calare le saracinesche del laboratorio, cosa che non è stata fatta, appunto. Per una serie ulteriore di colpe/coincidenze/disattenzioni, nella partita di Monopoli che nessuno voleva giocare, l’umanità pesca la carta andate in prigione e senza passare dal Via!
Le squadre si formano per la vera partita.
Nel primo centinaio di pagine oltre al taciturno Stu, che viene rinchiuso in un centro epidemie (in teoria di massima sicurezza), testato, bucherellato, e indagato in ogni modo perché pare che sia l’unico del suo paese a non essere ancora stato infettato dalla super influenza, incontriamo anche Frannie Goldsmith, Larry Underwood e Nick Andros. Loro ancora non lo sanno ma fanno tutti parte della squadra di Abby, ovvero Mother Abagail. Frannie, che ha una madre così gentile da chiamarla cagna in calore quando le confessa di essere incinta, al momento è anche alle prese con un amore che non è più tale ed il problema è che il figlio lo aspetta proprio dal disinnamorato. Larry invece cerca di gestire una carriera da musicista che dopo ben sei anni di tentativi inutili d’un tratto comincia a scalare le classifiche e Nick, giovane girovago ventiduenne sordomuto, che è stato pestato ben bene dai bulli di paese, al momento cerca di recuperare le forze nella cella dello sceriffo di Shoyo che lo prende in simpatia ed in meno di un giorno lo nomina vice, giusto in tempo prima che muoia anche lui, poverino.
Quattro dei protagonisti hanno iniziato la loro disavventura alle prese con la pandemia, ognuno con storie e percorsi diversi che in questo momento non sono ancora collegati. Ad essere molto ben collegato invece è il virus che King rassomiglia ad una sorta di catena di Sant’Antonio che lavora in modo esponenziale e che nel giro di appena due giorni riesce ad infettare una quantità sbalorditiva di persone. Credetemi, le pagine in cui racconta la marcia imperterrita di infezione di Captain Trips mi hanno fatto gelare il sangue più di molte altre scene palesemente horror. Questo perché il contagio è stato inserito in un contesto di routine quotidiana. Persone comunissime nelle loro comunissime abitudini, ed ovviamente le vittime oltre ad essere assolutamente inconsapevoli di essere state segnate dalla piaga, sono a loro volta delle dispensatrici di morte.
Come?
Semplice, basta starnutire, toccare un oggetto, darsi la mano, avvicinarsi, prendersi un caffè, sfiorare la maniglia di una porta, condividere lo stesso cinema, lo stesso ristorante, la stessa strada. Strada lungo la quale incontro anche il primo del team Flagg, tale Lloyd che, dopo una settimana di furti, omicidi, sparatorie, inseguimenti e molti viaggi allucinogeni, viene messo in carcere in attesa di una probabile condanna a morte. La pandemia salva Lloyd spazzando via corte e giudici che avrebbero dovuto processarlo ed appena un paio d’ore prima la sua dipartita per stenti, L’uomo nero lo salva in zona Cesarini e con un assaggino di cannibalismo alle spalle. Lo prende tra le sue fila e lo libera dal carcere facendo nascere in lui un sentimento molto simile all’amore da una parte e terrore puro dall’altra. Perché Llyod sarà pure allucinato ma capisce subito che RF non è umano.
Mi chiamo caos.
A questo punto della storia, buoni o cattivi che siano, tutti hanno perso tutto. Il morbo ha ucciso la quasi totalità della popolazione nell’intera America (e in tutto il mondo) e i pochi immuni al virus si ritrovano a seppellire i propri cari o a tentare la sorte in un posto lontano da casa, istupiditi dal dolore, confusi dal terrore, rallentati dalla paura. Nessuno sfugge all’equazione di Captain Trips.
Ormai la pandemia non è più un segreto nonostante i tentativi di insabbiamento e per diversi capitoli i nostri eroi si aggirano tra le pagine come anime dannate ritrovatesi sulla spiaggia che conduce all’Inferno di una nuova era. Un’era che ha il puzzo dolciastro e insopportabile di cadaveri in putrefazione. E svetta un solo protagonista adesso, il caos. Il caos in ogni sua declinazione: isterie di massa, violenze, tradimenti, giustizie sommarie, morale calpestata, comportamenti etici seppelliti sotto terra, dentro le casse di quei pochi morti che hanno avuto la fortuna di aver trovato un posto decente per riposare.
E si legge il degrado di una società che si capisce essere stata tenuta assieme dalla forza ipocrita di un unico pezzettino di nastro adesivo, ormai disintegrato dalla forza della brutalità umana, forse l’unica vera faccia dell’Uomo. E si assiste al funerale della cosiddetta civiltà e al battesimo di un nuovo mondo, un luogo dove solo un personaggio come Randall Flagg che racchiude tutti i mali del mondo può sentirsi a suo agio. Sono arrivata al 4 Luglio, fine del Libro Primo, e mi accorgo che tutto quello che era l’umanità è stato cancellato per sempre. Mi accorgo anche che sebbene sia la seconda volta che lo leggo, L’ombra dello scorpione ha di nuovo azzeccato l’incanto, aye.
Mi ritrovo a seguire i gruppi che man mano si formano e sebbene li conosca già, c’è qualcosa di nuovo tra le righe, o di non visto la prima volta. Una riscoperta cari coloni sperduti. Allora proseguo il cammino nell’intreccio e mi preparo ad accettare gli avvenimenti che verranno pagina dopo pagina, aye.
Pane e avventura.
Il libro, inutile negarlo, in moltissimi punti riesce a svegliare la mia parte avventurosa che per troppo tempo se n’è stata a sonnecchiare in rassicuranti pagine di romanzi leggeri o sit-com americane. Qui invece si viaggia, si dorme sotto le stelle, si spara, sì, può capitare, si rubano auto, moto e bici, ci si sceglie il proprio sputafuoco, ci si prepara il pranzo direttamente dalle cucine dei ristoranti, si controlla che lo zaino sia pieno di batterie, coperte, bibite o penicillina, si raccatta per strada qualcuno e lo si invita a viaggiare con sé. Perfino io, se non fossi stata a Gilead con l’autocertificazione in tasca per una pandemia in corso, mi sarei messa all’inseguimento del richiamo del subconscio di Mother Abagail, zaino in spalla, scarpe comode… Poi l’incanto si rompe e inciampo nel tornado insieme a Nick e Tom. Mi ritrovo chiusa nel rifugio sotterraneo nel buio più completo, con i cadaveri degli ex proprietari mangiucchiati dai ratti, con la puzza di umido e putrefazione, mentre sulla mia testa e sotto le scarpe avverto la vibrazione della potenza del tornado che è così forte che mi spacca il cervello. Resto immobile stretta stretta a loro, aspetto che passi la devastazione e soprattutto voglio andarmene da qui perché avverto la presenza di RF con noi nel buio, che ci spia, una sorta di Occhio di Sauron, un grande occhio cerchiato di rosso che guarda dal centro esatto del tornado e che si infila tra le assi del pavimento, striscia giù e giù fino a scovarci. Ci può vedere anche nel buio perché il buio è il suo regno ed io voglio rivedere la luce del sole il prima possibile.
Una metamorfosi non kafkiana.
Bene, dunque. Stu, Fran e Harold durante il loro cammino hanno formato un piccolo gruppo e chiedono a Glen se vuole unirsi alla loro spedizione, Larry dopo la tragedia di Rita è alle prese con Nadine, Joe e Lucy mentre Nick ha trovato Tom. Ma nessuno dei nostri eroi è più lo stesso di appena un mese prima. Averli seguiti dall’inizio fa saltare all’occhio il cambiamento avvenuto in loro. Nel profondo dei loro caratteri. Ecco un altro nodo cruciale del romanzo: la metamorfosi. Si nota un’evoluzione, una dinamicità in tutti i protagonisti che maturano, crescono, aprono gli occhi o se vogliamo, finalmente, acquistano tutti le loro vere sembianze. La pandemia, il caos, la tragedia respirata per settimane e settimane, la forza di necessità e tutto quello che il viaggio verso il Nebraska sottintende, ha fatto sì che ogni sopravvissuto abbia dovuto fare i conti con la realtà, con sé stesso, con le cose non dette, con i segreti, con la parte peggiore del proprio essere non per cancellarla ma per accettarla ed andare oltre. Com’è andato oltre il mondo cambiato per sempre.
Così ad esempio mentre si legge di Larry e all’inizio lo si conosce come un bamboccione dedito a ubriacature e droga, ora lo si ritrova uomo adulto, certo con i suoi difetti, ma chi non ne ha, che attraverso il linguaggio universale della musica fa breccia nel mondo silenzioso e selvaggio del piccolo Joe. E’ come se il viaggio diventasse una terapia di gruppo, una catarsi.
Come se le brutture, il dolore, il contatto giornaliero con la mietitrice di anime, come se tutto, tutto sia valso a riscattare i sopravvissuti dalla loro pazzia, dalla loro pochezza d’animo o superficialità per prepararsi allo scontro che si avrà con Randall Flagg. Le pagine scritte risentono di questo dinamismo, appaino sempre nuove, in movimento, mai troppo pesanti nonostante compongano un castello di carte altissimo. Le parole sono un incastro perfetto nel meccanismo della storia che è giunta intanto al 24 Luglio.
La casa di Abby.
Finalmente arrivo insieme al gruppo di Tom e Nick, che nel frattempo si è ancora ingrandito, a casa di Abby, Mother Abagail. La nonnina per me ed i miei amici ha camminato chilometri e chilometri per prendere dei polli in una fattoria, ha lottato con centinaia di donnole mandate dall’uomo nero, ha combattuto con stanchezza e dolori, cercando di tenere a bada le sottilissime pareti del suo cuore e ci ha accolti con crostate di fragole, mirtilli e mele. Con mais dolce e pollo fritto e con gli inni conosciuti da una vita.
È il pasto più buono che faccio da quando è iniziato tutto questo, ma stasera, diamine, sono felice di stare qui con tuti gli altri. Alla fine del pasto molti componenti del gruppo si ritirano per la notte tranne Ralph e Nick perché è giunta l’ora di capire il piano di Abby, di parlare, di decidere il da farsi e di iniziare l’ulteriore viaggio che ci porterà alle Montagne Rocciose. Nick è molto scettico e perfino Mother Abagail, che riconosce nel ragazzo l’uomo che Dio stesso le ha mandato, chiede più volte al Signore di allontanare da lei il calice troppo amaro che gli sta facendo bere ma alla fine tutti, ciascuno con i propri dubbi, sanno che raggiungere le montagne è la cosa giusta da fare, in attesa che arrivino gli altri. Il giorno dopo quindi, fatti i dovuti preparativi e lasciate le indicazioni al gruppo che arriverà, parto insieme a loro con il cuore carico di speranza, ma anche di paura.
Beh, per ora vi saluto cari coloni sperduti e vi auguro lunghi giorni e piacevoli notti dandovi appuntamento alla seconda ed ultima parte della nostra chiacchierata su L’ombra dello scorpione.
Sono proprio contenta di aver passato questo tempo con voi.
Vostra,
D.D.
Dolores Deschain